Le borse di Fendi alla Milano Fashion Week per la SS26
Il passaggio di testimone non è mai indolore, soprattutto quando riguarda una delle case di moda più iconiche d’Italia. Dopo l’uscita di Kim Jones lo scorso anno, Silvia Venturini Fendi prende in mano con decisione la direzione creativa della collezione femminile, firmando per la prima volta una Spring/Summer in solitaria. Il debutto avviene ieri durante la Milano Fashion Week 2026, e l’aria che si respira è quella di una rinascita: meno timida celebrazione dell’heritage, più dichiarazione di indipendenza.
Il set ideato da Marc Newson non lascia spazio a interpretazioni minimaliste. Un campo di pixel, colori saturi e geometrie che sembrano glitch digitali disegna l’orizzonte della passerella. Qui si muovono modelle e modelli tra abiti che oscillano tra il rigore dell’architettura e la fragilità dell’organza trasparente, in un equilibrio mai scontato. Ma sono le borse di Fendi a catturare davvero l’attenzione: non accessori, ma veri dispositivi narrativi, capaci di condensare l’identità della maison e rilanciarla verso un futuro che abbandona senza esitazioni la stagione del quiet luxury.
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Silvia stessa, backstage, sintetizza così il suo pensiero: “Volevo elevare l’ordinario”. Non è uno slogan, ma una strategia. Perché se l’abbigliamento può farsi specchio di trasformazioni quotidiane, le borse sono l’oggetto intimo che meglio riflette il rapporto fra sé e il mondo, fra desiderio e funzione. E quando la mano creativa è quella di Venturini Fendi, il confine tra oggetto d’uso e oggetto d’arte si dissolve.
Le borse di Fendi: tra memoria e rivoluzione
Non poteva mancare la Baguette, icona dal 1997 e simbolo dell’urban chic. Ma nella versione SS26 la sua silhouette diventa campo di sperimentazione: paillettes floreali, ricami di perline, intrecci crochet che ricordano una femminilità leggera, quasi balneare, ma con una forza seduttiva che non ha nulla di nostalgico. La Peekaboo, altro pilastro della maison, viene proposta in suede rosa Barbie, in maglia tricot coordinata al ready-to-wear, persino in mesh trasparente con dettagli metallici. Un lusso che si nasconde dentro: ricami di paillettes posizionati all’interno della borsa, invisibili a chi guarda ma presenti per chi la porta, come promessa di un piacere privato.
Il ritorno più sorprendente è però quello della Spy Bag, rivisitata con inserti intrecciati e cromie psichedeliche che richiamano i rave degli anni ’90. Silvia gioca con la nostalgia ma non la subisce: rielabora i miti Fendi per trasformarli in strumenti contemporanei di autoaffermazione.
E poi arriva la novità assoluta: la Collier Bag. Una borsa gioiello, con manico a sfera che ricorda un bauble, declinata in pelle arricciata e versioni novelty che mescolano solidità e ironia. Non è solo un nuovo modello: è un manifesto, perché porta nel suo nome il doppio riferimento al collier come collana e come vincolo. Oggetto di piacere, ma anche simbolo di appartenenza. Nella stagione in cui le borse tornano a essere status symbol, la Collier ha tutte le carte in regola per diventare la prossima It Bag globale.
Psichedelia, sport e couture: il nuovo vocabolario di Fendi
Il lavoro di Silvia Venturini Fendi non si esaurisce nella semplice riprogettazione delle borse. L’intera collezione è attraversata da un’energia psichedelica e sportiva che apre nuove possibilità per il marchio romano. Gli elastici con coulisse, i tessuti traforati laser-cut, le zip da windbreaker trasformano giacche, gonne e persino abiti da cocktail in oggetti ibridi. Non è un vezzo tecnico, ma un gesto di appropriazione del linguaggio dello sportswear dentro il regno del lusso più posh.
L’effetto è evidente anche negli accessori: le borse di Fendi si riempiono di dettagli mutuati dal mondo outdoor, come cinturini regolabili e inserti di nylon, ma traslati su pellami pregiati e ricami couture. È la stessa logica che Chitose Abe di Sacai ha applicato per anni al suo brand, e che qui trova un terreno fertile nella maison romana, pronta a ospitare le contraddizioni come nuove forme di armonia.
Un esempio emblematico? La Peekaboo in versione techno, con pannelli trasparenti che rivelano una fodera interamente ricamata in micro-sequins. O la Baguette rivestita di perline floreali che, a uno sguardo più attento, riproducono pattern digitali simili a glitch visivi. Silvia Fendi orchestra una collezione che non teme il “troppo”: lo abbraccia e lo trasforma in linguaggio.
Gli ospiti, seduti su cubi colorati dello stesso set pixelato, non si sono limitati ad assistere: hanno partecipato a una performance immersiva, comparando tra loro le proprie borse in pelle esotica, sfoggiando charms in peluche, confrontando i dettagli come reliquie preziose. Non un pubblico, ma una comunità estetica che trova nelle borse di Fendi il proprio codice identitario.
Una nuova grammatica del lusso
Dimenticate il mantra della “quiet luxury” che ha saturato le ultime stagioni. Con la SS26 Silvia Venturini Fendi archivia definitivamente la sobrietà esasperata e torna al lusso rumoroso, colorato, ironico e allo stesso tempo raffinato. Non è un semplice revival: è una nuova grammatica del desiderio.
Il tailoring, pur impeccabile, non è mai rigido. Una giacca doppiopetto in pistacchio si apre in pannelli di rete, una gonna color marrone casa madre si divide in strisce che ondeggiano come nastri. I colori, dalla limone al tangerine, sono orchestrati come una melodia visiva che accompagna anche le borse, sempre coordinate o volutamente dissonanti. La Collier in versione bianca, con manico rigido a contrasto, diventa strumento perfetto per completare un look da sera con ironia controllata.
Silvia Venturini Fendi ha trovato il modo di raccontare la leggerezza come sofisticazione, l’immediatezza come risultato di un lavoro complesso, la frivolezza apparente come copertura di una progettualità sartoriale meticolosa. “Semplici gesti con un lavoro complesso dietro” ha dichiarato. Ed è proprio questa tensione tra nonchalance e rigore a definire la forza della collezione.
Le borse di Fendi SS26 incarnano questo dualismo: sembrano giocattoli di lusso, ma nascondono lavorazioni maniacali, intrecci invisibili, cuciture studiate come incisioni. Ogni pezzo è progettato per sorprendere non solo chi guarda, ma soprattutto chi possiede. È qui che la maison tocca un apice concettuale: il lusso non come ostentazione verso l’altro, ma come complicità con sé stessi.
Daniele Conforti
