Image Alt
 • Fashion  • Il nuovo Versace secondo Dario Vitale: scopri la SS26

Il nuovo Versace secondo Dario Vitale: scopri la SS26

Partire da un brano musicale per leggere una collezione non è mai un dettaglio di colore. È la dichiarazione di intenti. Per la sua prima volta alla guida di Versace, Dario Vitale sceglie Oh! Superman di Laurie Anderson, remixata da Marcello Giordani, un inno elettronico che apre scenari non pacificati, spinge all’attenzione e disarma la platea. La Pinacoteca Ambrosiana, spazio prescelto per questo debutto, diventa il palcoscenico di un’esperienza più che di una sfilata: appartamenti nascosti, stanze affrescate, spazi di vita quotidiana trasformati in set di moda. Nulla è casuale. L’antico e il contemporaneo si incastrano per legittimare la nascita di un nuovo Versace, dove la tradizione non viene cancellata, ma violentata e ricomposta.

Vitale non cade nel tranello della nostalgia, non diventa il guardiano muto di un archivio. Piuttosto ne libera i fantasmi. Gli anni ’80, ossessione della maison e decade chiave del sistema moda globale, non sono riportati in passerella come un album di famiglia: diventano materiale incandescente da riformulare. I jeans blu Klein dalle curve ironiche, le canottiere bianche ridotte all’osso, i gilet barocchi con contorni rococò, gli accessori in overdose: ogni capo racconta il desiderio di abitare un guardaroba pieno, generoso, senza timore di eccesso. È un ritorno all’abbondanza come linguaggio di stile, contro l’anemia estetica che ha colpito troppe collezioni recenti.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da dario vitale (@dario___vitale)

Versace e la sensualità come architettura del corpo

Non c’è Versace senza erotismo. Ma Vitale lo sottrae al cliché per reinventarlo. Non più solo corpi scolpiti, ipersessuati, ma figure attraversate da contraddizioni, con abiti che lasciano scoperte zone inattese, che scoprono più che coprire, che trasformano la vulnerabilità in arma di seduzione.

Il culmine arriva con i vestiti al ginocchio: spalline stondate, paillettes incastonate come mosaici bizantini, cinture oversize che segnano il punto vita con brutalità, tacchi rosa in raso che dichiarano una femminilità volutamente artificiale. È un erotismo che non teme di sporcarsi, che gioca con l’ambiguità di jeans stretti fino a generare pieghe allusive attorno all’inguine, di pantaloni sbottonati con ostinata leggerezza, di canottiere ridotte a pettorine. Il corpo non è mai neutro: è desiderio che pulsa, è spettacolo carnale che si insinua nelle pieghe della sartorialità.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Elle Italia (@elle_italia)

L’uso del colore, marchio storico della maison, non è mai decorativo. Rosso, turchese, giallo crema, accostati a pelle nera o a denim scolpito: la tavolozza diventa linguaggio di seduzione visiva. Vitale costruisce silhouette che oscillano tra rigore e sfrontatezza, tra ordine e disordine. Ogni outfit è una dichiarazione: il corpo vestito è un corpo che parla, e Versace gli offre una lingua nuova.

Milano, capitale di un rito di passaggio

Il contesto non è irrilevante. La Milano Fashion Week di settembre 2025 si chiude con questa collezione, e sembra quasi che l’intera città sia stata preparata a riceverla. L’acquisizione di Versace da parte del gruppo Prada ha acceso i riflettori internazionali: per molti si trattava di un azzardo, di un matrimonio impossibile. Invece, Vitale dimostra come la storia di Gianni Versace e quella di Miuccia Prada possano dialogare in modo sorprendente.

La Pinacoteca Ambrosiana, tra busti classici e tele seicentesche, diventa il luogo perfetto per un rito di passaggio. Non solo una passerella, ma un evento che segna un prima e un dopo. Gli ospiti, chiamati attraverso un invito concepito come lettera romantica ottocentesca, si trovano catapultati in un teatro della memoria e del desiderio. “Mia carissima, ti scrivo con urgenza e segretezza…” recita il messaggio, evocando le parole di Keats a Fanny Brawne. È una dichiarazione d’amore non solo alla moda, ma alla possibilità che essa ha di cambiare la vita.

Non è un vezzo intellettuale: è la conferma che Vitale intende restaurare il senso del mito. Gianni Versace lo aveva fatto negli anni Ottanta e Novanta, trasformando il brand in culto globale. Oggi il nuovo direttore creativo raccoglie quell’eredità e la porta altrove, senza timore di confrontarsi con i fantasmi di una casa che ha scritto pagine indelebili nella storia della moda.

Il futuro di Versace scritto nel presente

C’è chi aveva temuto un debutto timido, rispettoso fino alla reverenza. Invece, la prima collezione di Dario Vitale per Versace non solo soddisfa, ma supera le aspettative. È un’operazione complessa: rispettare il DNA del marchio, rinnovarlo senza snaturarlo, e al contempo non perdere la propria identità di designer cresciuto altrove.

Si riconoscono le tracce della sua formazione in Miu Miu: l’abilità nel manipolare volumi, la capacità di giocare con il kitsch senza esserne travolto, l’ironia nascosta dietro dettagli minimi. Ma tutto è piegato a un’estetica che è, inequivocabilmente, Versace. Le stampe barocche tornano a vibrare, i riferimenti alla Magna Grecia si innestano su silhouette contemporanee, i colori di Miami Beach filtrano tra i tessuti con una vitalità contagiosa.

Le celebrità avevano già indossato alcuni pezzi della collezione sul red carpet di Venezia, ma lo show milanese chiarisce la portata dell’operazione. Non è un semplice esordio: è l’atto fondativo di una nuova epoca. Una Versace contemporanea, carnale, intellettuale e commerciale allo stesso tempo, capace di conquistare le passerelle come i mercati globali.

Ecco il punto decisivo: Vitale non propone una moda di nicchia, autoreferenziale, ma un linguaggio universale che torna a sedurre masse e mercati. Proprio come Gianni aveva fatto, e come pochi sono riusciti a replicare. L’eleganza italiana, con il suo slancio oltraggioso, rinasce in forme che sfidano ogni inibizione. La sensualità non è più optional, ma architettura del vivere. E il futuro di Versace sembra scritto già nel presente.

Daniele Conforti