
Cosa ci aspettiamo da Pierpaolo Piccioli alla guida di Balenciaga?
Pierpaolo Piccioli, il poeta silenzioso della couture, entra ufficialmente nel sancta sanctorum dell’avanguardia fashion: Balenciaga. Il suo debutto è previsto per ottobre, ma l’eco della sua nomina ha già cominciato a riscrivere le regole dell’estetica e della diplomazia nella moda. Nulla di teatrale, nulla di urlato. Solo una lettera — misurata, elegante, affettuosamente disarmante — che, di fatto, cancella il cinismo algoritmico con cui, negli ultimi anni, si sono consumati i passaggi di consegne nel sistema del lusso.
Visualizza questo post su Instagram
Il suo arrivo segna una discontinuità nella forma, ma una continuità nel contenuto. Balenciaga non cerca uno stilista alla moda, cerca una mente capace di interpretare la modernità con la stessa ferocia e delicatezza con cui Cristóbal creava abiti capaci di sfidare la gravità e la logica. E Piccioli ha già dimostrato di saper fondere tecnica e sentimento, rigore e anarchia, in un linguaggio visivo che non ha bisogno di farsi spiegare per essere compreso.
Da Valentino a Balenciaga: metamorfosi o continuità?
Chi conosce il percorso di Pierpaolo Piccioli sa che non si tratta di un creativo alla ricerca della prossima opportunità. Il suo passaggio a Balenciaga non è una scalata, ma un’evoluzione organica, quasi inevitabile. Dopo un quarto di secolo a Valentino, dove ha saputo emancipare la maison dall’ombra dei fondatori per trasformarla in una piattaforma di espressione umana, sociale e stilistica, l’ultimo capitolo sembrava aver esaurito la spinta propulsiva.
Il suo addio nella primavera del 2024, seguito dalla nomina di Alessandro Michele al timone di Valentino, è stato insieme commiato e liberazione. Ma a differenza di altri passaggi recenti — frettolosi, rumorosi, visibilmente guidati da logiche più finanziarie che artistiche — quello di Piccioli ha il sapore della giusta collocazione. Il tempismo perfetto in un’industria che troppo spesso confonde l’urgenza con l’urgenza di esserci.
Ecco perché l’approdo a Balenciaga non è una virata, ma l’atterraggio naturale di un percorso. Perché Piccioli non è mai stato un uomo di tendenze: è un architetto dell’anima, un sarto dell’emozione. E Balenciaga, dopo anni di estetica brutalista sotto la direzione di Demna, sembrava aver bisogno proprio di questo: non di una rottura ma di una risonanza nuova. Un altro modo, più lirico e meno iper-reale, per raccontare lo stesso dissenso.
L’eredità di Demna: saturazione e discontinuità controllata
Demna Gvasalia, l’outsider più influente dell’ultimo decennio, ha riscritto il DNA di Balenciaga con una visione spigolosa, intrisa di cultura rave, cinismo post-sovietico e distorsione del lusso. Ha creato silhouette che hanno fatto epoca, provocazioni che hanno spostato la conversazione, e accessori che hanno colonizzato gli algoritmi. Ma come ogni rivoluzione, anche la sua ha conosciuto il punto di saturazione.
L’ultima collezione di Demna per Balenciaga — attesa per luglio — sarà un commiato consapevole, non un licenziamento travestito. E questo, nel mondo dell’alta moda, è già una notizia. Il passaggio del testimone non è consumato nel gelo delle exit strategy, ma nella luce calda di una staffetta condivisa. Demna andrà a dirigere Gucci, dove potrà ridefinire un’altra grammatica. Piccioli eredita una macchina poderosa e un pubblico abituato al corto circuito. Ma il suo punto di partenza non sarà lo shock, sarà il sentimento.
Piccioli e Balenciaga: la forma come racconto, il colore come codice
Dimenticate la distinzione abusata tra minimalismo e massimalismo. Pierpaolo Piccioli è un alchimista del segno. La sua palette è amplificata, ma non gridata. Le sue linee sono pure, ma mai fredde. Il suo uso del colore è iconico: rosa shocking, verdi acidi, blu imperiosi. Ma non c’è mai una scelta estetica che non sia anche una dichiarazione etica. Inclusività, artigianalità, pluralismo delle forme e dei corpi non sono claim, ma condizioni imprescindibili del suo processo creativo.
In Valentino, ha reso la haute couture un luogo accessibile sul piano emotivo. Ha portato modelli neri, anziani, queer, curvy in passerella ben prima che diventasse un imperativo morale. Ha celebrato le sarte, non solo i volti. Ha scomposto la gerarchia tra chi crea e chi indossa. Ora, in Balenciaga, avrà la possibilità di esplorare l’ombra, la struttura, la potenza della forma senza compromessi. Il suo sarà un romanticismo severo, non malinconico. Un rigore che emoziona, non che opprime.
Un ritorno al fondatore: Balenciaga secondo Cristóbal
Cristóbal Balenciaga, il grande assente/presente di ogni conversazione su questa maison, è più che un riferimento storico. È l’origine stessa di ogni ambizione couture che voglia definirsi tale. Nel 1967, l’anno del suo ritiro, una cronista della UPI scrisse che i suoi abiti sembravano “assi da stiro rivolte al vento”, definizione tanto poetica quanto esatta per raccontare la tensione tra struttura e movimento che caratterizzava le sue creazioni.
Piccioli lo sa, e lo ha ricordato. Quando dice che la prima immagine postata sul suo profilo Instagram fu proprio un abito sposa di Balenciaga del ’67, non lo fa per cavalcare una coincidenza narrativa. Lo fa perché quell’abito – un ovale di gazar tagliato in sbieco – è un manifesto di ciò che crede: che la semplicità è la complessità risolta.
Ecco perché la sua nomina, lungi dall’essere una scelta di comodo, è un atto di coraggio. In un momento in cui la moda sembra aver perso il proprio centro, Balenciaga torna al suo fondatore senza nostalgia. Lo fa attraverso una mente che crede nella costruzione, non nel contenuto prêt-à-like. E che considera l’eleganza una questione di eliminazione, non di accumulo.
Una nuova leadership per un nuovo sistema moda
Il fashion system si sta ricalibrando sotto i nostri occhi. Il tempo dei colpi di teatro sembra lasciare spazio a una nuova forma di autorità: meno glamour, più visione. Meno hype, più sostanza. Le nomine di Sabato De Sarno da Gucci, Alessandro Michele da Valentino, Daniel Lee da Burberry sono segnali chiari di un ritorno a figure solide, colte, sensibili. Piccioli incarna perfettamente questa nuova generazione di leader silenziosi e potentissimi, capaci di parlare attraverso le collezioni, non sopra di esse.
La sua prossima sfilata, attesa a ottobre 2025, è molto più di un evento moda. È la prova che il futuro del lusso non si costruisce con i meme ma con le mani. Non con la velocità, ma con l’intenzione. E in un’epoca in cui tutto sembra destinato a sparire nel giro di uno swipe, Piccioli è qui per restare. Non perché urli più forte, ma perché ha qualcosa da dire. E sa come cucirlo.
Daniele Conforti