Vestiaire Collective 2023
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Vestiaire Collective 2023

Vestiaire Collective vieta 30 marchi fast fashion: l’iniziativa 2023

Vestiaire Collective fa un altro passo verso la sostenibilità. Più che di sostenibilità, parliamo di un vero e proprio impegno nei confronti dell’umanità, della dignità dei lavoratori sud-asiatici che ancora oggi si ritrovano costretti a dover scegliere tra proteste sanguinarie e salari da fame.

 

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Facendo seguito a un’iniziativa risalente al 2022, Vestiaire Collective elimina dal proprio sito trenta brand di fast fashion, impedendone totalmente il futuro accesso. Si tratta di un piano triennale, volto a contrastare pratiche non sostenibili nella moda, impostato in linea con il documento recapitato dalla Commissione Europea all’Europarlamento dal titolo Strategia per prodotti tessili sostenibili e circolari.

Il progetto include la partnership con The Or Foundation, che si impegna nella sensibilizzazione verso problemi come le discariche di vestiti a Kantamanto, in Ghana, e il coinvolgimento da parte di entrambe le società per trovare soluzioni pragmatiche e attuabili, accendendo dibattiti con il Parlamento Europeo stesso.
Così, a una sola settimana dal Black Friday, occasione di sprechi per eccellenza, Vestiaire Collective ribadisce l’obiettivo di raggiungere lo Zero Fast Fashion entro il Black Friday 2024.

Quali sono i marchi fast fashion vietati su Vestiaire Collective?

I brand bannati dalla piattaforma di moda second-hand Vestiaire Collective a partire da oggi includono Abercrombie & Fitch, Gap, Zara, Urban Outfitters, Uniqlo, Mango, Benetton, Bershka, Oysho e H&M, mentre nel 2022 erano stati eliminati in definitiva Boohoo, Pretty Little Thing, Asos e Shein.

Non si tratta di un provvedimento punitivo, ma di un preciso progetto di sensibilizzazione dei consumatori. Ecco perché ogni volta che i membri della piattaforma proveranno ad acquistare o vendere articoli appartenenti alla lista di brand vietati riceveranno un messaggio che li informerà delle ragioni del divieto.

Questi marchi contribuiscono a una produzione e a un consumo eccessivi, con conseguenze sociali e ambientali devastanti nel Sud globale. È nostro dovere agire e aprire la strada ad altri operatori del settore affinché si uniscano a noi in questo movimento, così da avere un impatto insieme.

Dounia Wone, Chief Impact Officer di Vestiaire Collective

I brand scartati sono stati individuati da un team di esperti del settore, che hanno preso in considerazione cinque criteri, cause di sovrapproduzione e sovraconsumo. In primis il prezzo basso, valutato anche secondo alla componente della riparabilità dei prodotti.

Seguono il tasso di ricambio elevato, vale a dire il numero stimato di collezioni o di nuovi articoli in uscita ogni anno – numeri esorbitanti per il fast fashion –, l’ampiezza della gamma di prodotti, la velocità del ciclo produttivo, dalla fase di progettazione del prodotto alla disponibilità del capo finito in negozio, e la frequenza e l’intensità delle promozioni nel punto vendita.

La campagna Think First, Buy Second di Vestiaire Collective

In parallelo, per accrescere la consapevolezza attorno al tema e raggiungere una generazione più giovane e vittima dei costumi di consumo sovrabbondante, Vestiaire Collective lancia sui suoi canali digitali la campagna globale Think First, Buy Second (letteralmente prima pensa, poi compra, interpretabile anche come “compra second-hand”).

Attraverso l’uso della tecnologia AI, l’iniziativa mostra montagne di indumenti accatastate in corrispondenza di luoghi riconoscibili, come Times Square a New York, il Colosseo a Roma e la Tour Eiffel a Parigi. Si offre così un’idea visiva dell’enorme quantità di indumenti e rifiuti tessili prodotti ogni anno.

Sul sito sarà inoltre disponibile una guida online con risorse pratiche su come donare i propri capi e approfondimenti sulla sostenibilità, oltre a un utile elenco di alternative al fast fashion. L’azienda ha infine redatto un documento a favore di una maggiore trasparenza nella regolamentazione delle esportazioni di rifiuti tessili e articoli dismessi, invitando il Parlamento europeo e tutti gli operatori del settore ad affrontare l’emergenza dei rifiuti tessili con provvedimenti urgenti per la salvaguardia del Pianeta.

In passato, inoltre, la piattaforma di resell ha promosso il progetto Chloé per la tracciabilità dei capi, ha collaborato con marchi come Gucci e Burberry per promuovere la circolarità e, da anni, fornisce agli insider del settore dati preziosissimi sullo stato della moda second-hand.

Nel 2022 aveva già bandito alcuni brand di fast fashion dalla propria piattaforma e, da allora, il 70% dei membri direttamente colpiti dal divieto sono tornati sulla piattaforma per acquistare articoli di qualità migliore.

 

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Daniele Conforti