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Valentino VLogo e i Monogram più famosi di sempre

Le dimensioni contano. Eccome. Ce lo insegnano le maison di moda e i loro ammagliati monogram. Primo fra tutte, Valentino. Sono tempi duri per il logo formato XL: il monogram minuscolo si ripete all’infinito. Fino a diventare un vero e proprio pattern che riveste borse, accessori, calzature, abiti. I grandi marchi del lusso si impegnano quindi in una rilettura ipnotica del proprio logo, che si sviluppa fluido lasciando spazio ad ampi margini creativi.

Assistiamo quindi a veri e propri restyling. Da Ferragamo, reduce del cambio logo firmato dal graphic designer Peter Saville – già autore nel 2018 del restyling di quello di Burberry –, a Valentino, che imposta la matrice del VLogo in un pattern grafico infestante. La prima volta per la maison italiana timonata da Pierpaolo Piccioli. Anticipato durante la sfilata Primavera/Estate 2023 di Parigi, il monogram Valentino Toile Iconographe compare ufficialmente nella Valentino Surfaces Collection. Una campagna d’autore firmata dal fotografo di moda Steven Meisel. Ad indossarla quattro modelli d’eccezione: Kristen McMenamy, Alaato, Sora e Cas. Il VLogo Valentino diventa un racconto che legge gli spazi e le infinite possibilità creative, ossessivo, reticolare, liberatorio, unico.

Il logo è alfabeto, è parola. Il logo è spazio ed è architettura. Il logo è bellezza ed è cultura. Il VLogo Valentino diventa così un portatore attivo, continuo, incessante, di significati profondi. La scritta impressa sulla tela bianca grezza – il canvas progettuale del Direttore Creativo Pierpaolo Piccioli – diventa un racconto che legge gli spazi e le infinite possibilità creative.

Un emblema nella storia di Valentino, che segue le impronte lasciate da chi del monogram ha fatto il suo successo. Come Louis Vuitton, il logo probabilmente più copiato nella storia. Registrato come marchio soltanto nel 1905, l’iconico LV viene introdotto per la prima volta da Georges Vuitton, figlio del fondatore Louis, nel 1896. L’ispirazione allude sia al simbolismo giapponese che alle piastrelle in maiolica di Gien con i fiori a quattro petali, presenti nella cucina della casa di famiglia ad Asnières. Un motivo eterno, oggetto di cicliche riletture da parte di direttori artistici.

Per primo, negli anni Novanta, è il sarto Dapper Dan a permeare le uniformi di rapper e personalità del tempo in chiave trasgressiva, illegale ma democratica, con la mitica tela francese. Le sue imitazioni realizzate nella boutique sulla East 125ma ad Harlem sono un timbro universale della cultura Nineties. È invece Marc Jacobs a scuotere l’estetica tradizionale andando a reinterpretare i codici del monogram. Takashi Murakami, Stephen Sprouse e Richard Prince saranno parte della storia del brand.

Quando Ghesquière viene nominato direttore artistico nel 2013, si assicura di incorporare il logo nelle sue collezioni in modi nuovi e originali, vedi il tacco degli stivali a forma del motivo floreale della collezione Primavera 2015. Kim Jones, poi, fonde per l’uomo il pattern LV con Supreme, espressione per eccellenza della street culture.

Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare. Per quanto identificativo sia il logo di Vuitton, a vincere il premio per essere arrivato primo è Goyard!

Dobbiamo aspettare gli anni Settanta per assistere, in Francia, alla nascita del monogram di Dior. Il motivo Oblique della maison è un omaggio alla collezione Autunno/Inverno 1950-1951 di Monsieur Christian Dior.

Siamo nel 1967. La mano è quella di Marc Bohan. Il successo della tela Dior Oblique spazierà dalle valigie fino all’interior, vestendo nel 1974 gli spazi della boutique parigina Dior Monsieur. Sull’onda della logomania caratteristica degli anni Novanta, John Galliano utilizza l’Oblique su ogni genere di prodotto in una nuova chiave street, dal moon boot al bikini. Oggi, Mariagrazia Chiuri rilegge e applica il logo sui modelli più simbolici del brand, dalla Saddle alla Book Tote, mentre Kim Jones, per l’uomo, recupera dagli archivi la geometria del CD Diamond. Un capolavoro creato da Bohan per Dior nel 1974.

Pioniere in Italia è invece Gucci. Il celebre pattern nasce dall’esigenza, proprio come per Louis Vuitton, di griffare la corposa linea di valigeria e accessori. Il motivo a doppia G, disegnato dal figlio Aldo Gucci nel 1961, è un omaggio al padre fondatore Guccio Gucci. La sua estetica si basa sull’antenato: il Diamante, motivo nato su tela a metà degli anni Trenta e costituito semplicemente da piccoli puntini connessi tra loro. Basterà inserire la doppia G ai quattro angoli per instaurare nel lessico della moda uno dei monogram più riconoscibili. Gucci Plus prima, GG Supreme poi, Guccissima quando impresso sulla pelle.

La tela monogram Gucci sarà ripresa e rinvigorita sia da Tom Ford che da Frida Giannini. L’avvento alla direzione artistica della maison di Alessandro Michele sfrutterà i potenziali del motivo GG fino a portarli all’estremo: dal progetto Gucci Ghost a Gucci Aria in contaminazione con Balenciaga, fino alla fusione con Adidas.

Storico anche il logo Celine, ideato nel 1973 per opera di Madame Céline Vipiana. Le due C intrecciate su canvas rappresentano la silhouette dell’Arco di Trionfo, simbolo parigino per eccellenza dopo la Torre Eiffel. Il monumento celebrativo fu fatto erigere da Napoleone Bonaparte in occasione della vittoria della battaglia di Austerliz nel 1805. Il reticolo grafico Triomphe si fa tappeto visivo che ricopre borse e articoli di pelletteria. Ancora oggi la collezione Macadam, dal nome del materiale di pavimentazione parigino posato nel 1854 e durata una sola stagione agli inizi dei duemila, è oggetto di spasmodiche ricerche tra il vintage firmato.

L’intervento radicale dell’attuale direttore creativo Hedi Slimane dedica comunque una rilettura al pattern monogram Celine Triomphe, appuntandolo ad accessori e abbigliamento.

Esistono, infine, monogram tanto timeless quanto i propri fondatori. È il caso, ad esempio, della doppia C di Chanel, l’intreccio immortale del nome (Coco) e del cognome (Chanel) della fondatrice. Lo stesso per il monogramma di Fendi, che rappresenta i suoi due fondatori Edoardo e Adele Fendi. Fu una questione di pochi secondi, 3 secondo le parole dell’ideatore. Karl Lagerfeld lo disegnò senza sapere quanto decisivo il logo FF sarebbe stato nella storia della maison. Fino ad allora, il brand era raffigurato da uno scoiattolo collocato su un ramo e con in mano una noce. Il nuovo logo celava un duplice significato: linguistico e creativo. Rappresentava il concetto di Fun Furs, secondo cui le pellicce non erano più appannaggio di donne ricche e con gusto.

Nel 1965, quando cominciai a collaborare con la maison, le cinque sorelle Fendi mi chiesero di creare una mini-collezione di pellicce moderne. Io, però, volevo che fossero anche divertenti, perché la giocosità è uno dei codici di questa griffe. Inoltre, ho disegnato due F in meno di 5 secondi, creando così il logo FF.

Karl Lagerfeld

In seguito al grande successo ottenuto, il motivo con logo cambiò destinazione: invece di essere utilizzato per le fodere, divenne il protagonista di borse e accessori. Questo condusse a un’autentica rivoluzione nel mondo della moda: negli anni Settanta, Fendi fu una delle prime griffe a lanciare borse realizzate con tessuti personalizzati.

Le modifiche al pattern tradizionale saranno comunque limitate e, fra gli anni Novanta e i primi del Duemila, il marchio si muoverà sotto un’ombra di discrezione minimalista.

Siamo nel 2013: Venturini Fendi alla festa FF Reloaded presenta il nuovo monogram sotto una forma più contemporanea a leggermente arrotondata, adottando un font molto simile al Basic Commercial Soft Rounded Pro Bold.

Per me, il logo Fendi FF è un codice che fa parte del nostro Dna. È un sigillo di garanzia. Rappresenta un valore molto importante: ecco perché è spesso presente nelle nostre collezioni. Non è solo un logo: è la storia di una griffe che presto compirà un secolo, e poggia su valori quali la tradizione, la passione e l’amore.

Silvia Venturini Fendi

Daniele Conforti