
Il resell sta ridefinendo il lusso: strategia o necessità?
L’industria della moda, e in particolare quella del lusso, è da sempre associata all’esclusività, ma solo come selling point. Non è un mistero che la traiettoria di crescita che ha portato numerosi brand commerciali a crescere a dismisura nell’ultimo decennio, salvo poi interrompersi con il lockdown, sia stata alimentata da una democratizzazione del lusso e nello specifico dal prolificare dei cosiddetti entry-level items che hanno trasformato in vendite l’aspirazionalità dei clienti.
La moda dice di essere per pochi ma opera in base alle vendite dei molti – una contraddizione ancora più esacerbata dalla duplice crescita dei prezzi e del mercato del secondhand. Una larghissima parte di chi compra articoli firmati, oggi, non li compra dai brand ma da canali off-price come outlet e svendite e ovviamente sulle piattaforme di resell. E ora che la crisi dei brand di moda si avverte più acuta che mai, sarebbe forse il momento di domandarsi se l’industria del lusso non dovrebbe ripensare le proprie strategie. Invece di concentrarsi sulla vendita di molti prodotti diversi, le aziende potrebbero trarre vantaggio concentrandosi sul rivendere i propri prodotti, orientandosi verso il vendere più volte gli stessi articoli.
L’esplosione del mercato resell
Questa idea non solo lo slancio enorme che sta avendo il secondhand, diventato oggi una vera e propria forma alternativa di consumo, ma offre anche ai brand un’opportunità per avere maggiore controllo sui prodotti e una base di fedeltà clienti più solida. Il mercato del resell, in particolare negli Stati Uniti, sta crescendo rapidamente: secondo The State of Fashion 2025, le vendite di articoli di seconda mano sono cresciute 15 volte più velocemente rispetto al settore retail dell’abbigliamento nel 2023, e quest’anno dovrebbero rappresentare il 10% del mercato globale dell’abbigliamento.
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Il segmento potrebbe svilupparsi a un tasso di crescita annuale composto del 12%, raggiungendo i 350 miliardi di dollari nei prossimi tre anni. In effetti, non solo il 41% dei consumatori che cercano offerte per l’abbigliamento ora si rivolge ai negozi di seconda mano, indicando un forte cambiamento nelle abitudini di acquisto ma il 60% dei consumatori ritiene di ottenere più valore acquistando abbigliamento di seconda mano, e piattaforme come Vinted riportano che il 65% dei loro acquirenti preferisce acquistare meno articoli, ma di qualità superiore, piuttosto che più articoli economici.
Il lusso e il resell: convivenza o rivalità?
I grandi brand, ovviamente, hanno registrato un forte sviluppo nel mercato del resell, che cresce quattro volte più velocemente rispetto al mercato primario del lusso, secondo uno studio della Luxury Bocconi Student Society. Mentre il mercato luxury cresce annualmente del 3%, il settore del resell cresce del 12%. Secondo le stime di quel report, il mercato second-hand è già valutato 24 miliardi di dollari e si prevede che raggiunga quest’anno i 64 miliardi di dollari, con i beni di lusso nel mercato del resell che raddoppiano la crescita rispetto all’intera industria della moda. In risposta a questa tendenza, molte maison stanno sperimentando maniere di esercitare il proprio controllo su questo mercato in espansione per garantire che i loro prodotti mantengano valore e desiderabilità.
Al di là della questione della sostenibilità, che è importante ma ha forse smesso di motivare i consumatori, le ragioni di questa crescita sono due: la prima è che i prodotti di resale hanno prezzi più onesti rispetto a quelli di un sistema moda andato ormai in overdrive; il secondo è che molti acquirenti sono attratti dall’autenticità e dall’unicità degli articoli disponibili sulle piattaforme di resale, come i beni in edizione limitata o vintage, che spesso non sono più disponibili attraverso i canali di vendita tradizionali.
Le sfide del resell per i brand
Le implicazioni finanziarie per i brand che decidessero di entrare nel mercato secondhand, in generale, non sono poche. Mentre le partnership con piattaforme di rivendita come The RealReal o Vestiaire Collective evitano ai brand di sobbarcarsi il peso logistico di creare le proprie piattaforme, il modello offre margini di profitto inferiori dato che le piattaforme di rivendita generalmente addebitano commissioni che vanno dal 20 al 40%, il che può erodere i ricavi del marchio. D’altra parte, creare una piattaforma di rivendita propria terrebbe alti i margini e i profitti ma richiede investimenti in logistica, autenticazione e gestione della catena di approvvigionamento – e questo senza contare la presenza di terzi partner.
Nuove strategie per il resell
Il problema maggiore rimane comunque l’intersezione tra la volontà di vendere al prezzo pieno e il valore percepito dai consumatori. Il business del resale ruota attorno alla ricerca del risparmio e se un brand conta di rivendere prodotti usati con uno sconto irrisorio sull’originale prezzo retail, ogni iniziativa si rivelerebbe un fallimento. Tuttavia, vi è la possibilità di fidelizzare nuovi clienti con programmi di rivendita gestiti direttamente dai brand stessi.
Alcuni marchi stanno sperimentando shop fisici dedicati, spazi intermedi tra boutique di lusso e store vintage, capaci di attrarre clienti entry-level e di creare nuove esperienze di shopping più accessibili ma sempre aspirazionali. Se posizionati in zone urbane alternative ai distretti del lusso, questi punti vendita potrebbero diventare non solo un canale di distribuzione separato, ma anche un’opportunità di marketing e di engagement con nuovi segmenti di clientela. In un momento in cui la filiera produttiva mostra le sue fragilità e il mercato del resale cresce inarrestabile, non sfruttare questa opportunità sarebbe un errore strategico.
Daniele Conforti