Image Alt
 • Fashion  • Moda Second-Hand: un 2022 contro il Fast Fashion

Moda Second-Hand: un 2022 contro il Fast Fashion

Protagonisti della moda. È così che il second-hand ci fa sentire. Commercianti, intenditori, ricercatori, acquirenti. E non ne abbiamo mai abbastanza. Gli articoli di seconda mano costituiscono circa un quarto degli armadi degli acquirenti di pezzi pre-loved. E si prevede che entro il prossimo anno costituiranno il 27% del contenuto dei nostri armadi, secondo una ricerca realizzata da Boston Consulting Group e Vestiaire Collective, piattaforma leader nel settore.

È ormai certo che i consumatori hanno abbracciato il second-hand e stanno cambiando il modo in cui acquistano e vendono i loro vestiti. Per i marchi, entrare in questo mercato costituisce un’enorme opportunità per attrarre clienti nuovi e già esistenti, motivati da sostenibilità, convenienza ed esclusività.

Sarah Willersdorf, responsabile globale del settore lusso presso Bcg e coautrice del rapporto

Un settore tanto redditizio, una pratica tanto assimilata, che, dopo H&M, anche Zara lancia una piattaforma di rivendita e riparazioni. Dal 3 novembre, nel Regno Unito è possibile inviare al marchio fast-fashion i propri capi perché essi vengano riparati entro dieci giorni lavorativi.

È dunque lecito far riparare ogni capo di Zara, anche i più vecchi, sostituendo zip o bottoni o rammendando le scuciture. Oltre al servizio di riparazione il programma include una piattaforma di resell dei capi second-hand, in cui le foto dei prodotti sono ottenute dai database stesso del brand scansionando i codici a barre interni. Il servizio è gratuito per i venditori mentre i compratori pagano una sterlina in più del prezzo originario insieme a un costo del servizio del 5%.

Moda Second Hand Zara Store

Un’iniziativa certamente impattante nei confronti di temi tanto spinosi come sovrapproduzione e smaltimento, che continuano a infangare la reputazione di un brand che rimane, comunque, fra i leader del fast-fashion.

In concomitanza, quasi a farlo apposta, la piattaforma più importante del panorama second-hand progetta di eliminare, anche se gradualmente, i prodotti fast-fashion dal proprio e-commerce. Coerentemente al proprio impegno a favore della moda circolare, infatti, Vestiaire Collective ha annunciato che a partire dal 22 novembre eleminerà progressivamente brand come Zara, Asos e H&M dalla propria piattaforma, con l’obiettivo di incoraggiare “la sua community a investire in articoli di grande artigianalità a un prezzo competitivo”.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Vestiaire Collective (@vestiaireco)

Perché, se fra i brand più ricercati su piattaforme come come Depop, Vestiaire Collective, eBay e ASOS Marketplace sono quelli di lusso – fra i primi Louis Vuitton, Chanel, Burberry, Prada e Gucci – ad infestare i cataloghi di questi siti specializzati troviamo proprio i marchi fast-fashion. Secondo uno studio recentemente pubblicato da Savoo, è proprio Zara a dominare quantitativamente, seguita a ruota da Nike e adidas – al secondo posto in pari merito –, H&M, Victoria’s Secret, ASOS, Levi’s e, soltanto alle ultime tre posizioni, Louis Vuitton, Gucci e Chanel.

A colpire, comunque, è la discrasia tra media delle ricerche mensili e il numero di articoli messi in vendita. Facciamo qualche esempio: Zara, che è in cima alle classifiche un po’ ovunque in termini di quantità di articoli presenti, ha una media di ricerche mensili pari a 590, laddove Louis Vuitton, che come dicevamo è in ottava posizione per numero di articoli presenti, ha la media di ricerche più alta, 5400 al mese. Ancora, Victoria’s Secret, che è il quinto brand per numero di articoli presenti sulle piattaforme secondhand menzionate, ha una media di 40 ricerche mensili, bassissima.

Un passo in avanti, quindi, per Vestiaire Collective e, in generale, per il futuro della moda second-hand. Secondo un report rilasciato dalla piattaforma stessa, il 70% degli articoli acquistati sulla piattaforma ha permesso di evitare l’acquisto di capi e accessori di prima mano. Questo si traduce in un risparmio di circa 39 mila tonnellate metriche di emissioni di anidride carbonica.

Daniele Conforti