Moda contraffatta: Burberry vince contro il mercato cinese
Il mercato della contraffazione, con i suoi intricati labirinti e le sue persistenti sfide, rappresenta una minaccia costante per l’integrità del marchio e per il commercio legittimo, specialmente in Cina. Nonostante l’implementazione di regolamentazioni severe per il commercio online, il mercato fisico del falso, come evidenziato dal celebre Silk Street Market di Pechino, continua a prosperare in modo quasi incontrollato. La disponibilità di imitazioni di lusso — da borse a scarpe fino a indumenti — sfida apertamente le normative e le leggi internazionali.
Questo fenomeno ha radici profonde nella struttura economica e culturale della nazione. In Cina, il valore della contraffazione ammontava a circa 20 miliardi di dollari nel solo settore della pelletteria nel 2018, secondo il Global Brand Counterfeiting Report. Questo non solo sottolinea la dimensione del problema ma anche l’ingente perdita economica per i brand originali. Inoltre, il 2016 ha visto il mercato globale della merce contraffatta raggiungere i 461 miliardi di dollari, con un incremento rispetto ai 400 miliardi dell’anno precedente. L’85% di questa merce proveniva dalla Cina e da Hong Kong, dimostrando il ruolo predominante che questi territori giocano nel mercato globale della contraffazione.
La cultura della moda contraffatta in Cina
L’attrazione verso la contraffazione può essere parzialmente attribuita al concetto culturale di imitazione come forma di apprendimento e rispetto, radicata nelle tradizioni storiche di riverenza verso i maestri e l’apprendimento attraverso la replicazione delle loro opere. Austin Williams, nel suo articolo su Global Briefing, illustra come le strutture confuciane di pietà filiale e rispetto gerarchico abbiano permeato la società, creando un ambiente in cui la copia è vista come un tributo piuttosto che un furto.
La pietà filiale, o xiao in cinese, è uno dei pilastri del Confucianesimo e si riferisce al dovere di rispetto, obbedienza e cura verso i genitori e gli anziani. Questo concetto si estende per analogia al rispetto verso i maestri e verso coloro che hanno conseguito una posizione di rispetto a causa della loro saggezza e conoscenza. In questo contesto, il rispetto gerarchico presuppone che gli individui più giovani o di rango inferiore debbano riverenza e obbedienza ai loro superiori o anziani.
Nell’ambito della cultura e dell’apprendimento, questa struttura di rispetto si manifesta nella pratica di emulare e replicare le opere dei maestri. In passato, gli studenti di pittura, calligrafia, e altre arti, imparavano riproducendo le creazioni dei loro insegnanti o di famosi artisti del passato. Questo non era visto come un furto di proprietà intellettuale, ma piuttosto come un omaggio e un metodo fondamentale di apprendimento.
Copiare le opere altrui era un modo per internalizzare le tecniche, i valori e l’estetica dei maestri, e veniva considerato un passo essenziale nel processo di formazione di un artista.Questa tradizionale accettazione della copia come forma di rispetto può talvolta scontrarsi con i concetti occidentali di diritti d’autore e proprietà intellettuale, che vedono la copia non autorizzata come un furto o una violazione della creatività individuale. Nel contesto commerciale moderno, specialmente in settori come la moda, la tecnologia e l’editoria, la pratica della copia può portare a tensioni legali e culturali.
Burberry contro Baneberry
Nel contesto di una lotta incessante contro la pirateria industriale, il caso di Burberry contro Baneberry emerge come un episodio significativo nella difesa della proprietà intellettuale. La decisione della Corte Provinciale Alta di Jiangsu, che ha condannato Baneberry a risarcire Burberry per 6 milioni di RMB (circa 800mila euro), evidenzia un cambiamento potenziale nell’atteggiamento legale verso la contraffazione. Burberry, un titano della moda britannica, ha visto il suo motivo a quadri e il logo del Cavaliere Equestre copiati in modo fraudolento, una violazione che ha rischiato di minare l’autenticità e l’esclusività del brand.
Il lavoro svolto dallo studio legale Lusheng è stato cruciale in questo processo. La raccolta di oltre 5.000 prove ha dimostrato la notorietà e la presenza antecedente di Burberry nel mercato cinese, enfatizzando l’importanza di proteggere i marchi legittimi contro l’usurpazione premeditata. Questa vittoria legale non solo ha garantito un risarcimento finanziario ma ha anche rafforzato la posizione di Burberry come difensore dei diritti di proprietà intellettuale.
Moda contraffatta: i super fake
In un’epoca caratterizzata da una crescente democratizzazione del lusso e da un’accelerata transizione verso l’iper-consumismo digitale, la contraffazione emerge come un fenomeno sempre più radicato e complesso nel tessuto economico e culturale globale. L’ascesa vertiginosa dei super fake — copie quasi indistinguibili dai prodotti originali, perfetti nelle cuciture e nei dettagli — rappresenta una sfida significativa per i brand di lusso e per la percezione stessa di autenticità e valore.
Il fenomeno della contraffazione non è certo una novità: dalle borse vendute clandestinamente sulle spiagge ai prodotti falsi che un tempo popolavano piattaforme come eBay, la replica di merci di lusso ha sempre trovato un terreno fertile nel desiderio collettivo di accessibilità al prestigio. Tuttavia, la situazione ha assunto nuove dimensioni con l’avvento dei social media e la conseguente erosione delle barriere tra il finto e il reale. Piattaforme come DHgate e WeChat, insieme alla popolarità esplosiva degli hashtag come #DHgate e #superfake su TikTok, hanno trasformato il commercio di imitazioni in un’industria fiorente, visibile e sorprendentemente accettata.
Un’inchiesta della rivista francese Madame Figaro ha portato alla luce pratiche sorprendenti all’interno di questo mercato. Tanner Leatherstein, noto per i suoi analitici video sulle borse di lusso, ha rivelato come durante una visita in Cina gli siano state mostrate borse di alta qualità a prezzi irrisori, indistinguibili quasi dai prodotti originali. Questo ha aperto le porte a un nuovo tipo di consumatore: ultra-ricchi che acquistano l’originale come investimento e al contempo ordinano repliche perfette per l’uso quotidiano, evitando rischi di furto o danneggiamento.
Tuttavia, la normalizzazione della contraffazione porta con sé implicazioni profonde e talvolta inquietanti. Non si tratta solo della violazione dei diritti di proprietà intellettuale; è anche una questione di etica e integrità del mercato. Acquistare e vendere falsi contribuisce a snaturare l’essenza stessa della moda, un settore storicamente fondato sull’innovazione, la creatività e, soprattutto, sull’emozione umana.
Le ripercussioni economiche sono altrettanto gravi. Secondo uno studio di Euipo, l’ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale, i prodotti falsi comportano una perdita annuale di 16 miliardi di euro per l’economia europea, incidendo negativamente su circa 200.000 posti di lavoro nei settori dell’abbigliamento, della cosmetica e dei giocattoli. L’Italia da sola vede una perdita di fatturato di 1,7 miliardi di euro all’anno nel settore della moda, risultando in 19.000 posti di lavoro persi, una cifra che pone in luce la portata del danno inflitto dalla contraffazione.
Daniele Conforti