Moda e circolarità: il lusso italiano è al primo posto
Da ridondante buzz word a pietra angolare di realtà fashion e luxury, il concetto di circolarità nella sua accezione più concreta continua a rappresentare un traguardo lontano.
A rivelarlo è il Kearney Circular Fashion Index, classifica giunta alla sua terza edizione e redatta dall’omonima società di consulenza strategica. A differenza delle edizioni precedenti, quest’anno la classifica prende in considerazione 200 marchi di moda (anziché 150) situati in 60 Paesi, includendo anche brand dell’Asia Pacifica.
Considerando marchi attivi in sei categorie merceologiche (sport e outdoor, biancheria intima e lingerie, lusso, lusso premium, mass market e fast fashion), il Kearney Circular Fashion Index analizza sette parametri.
Quattro del mercato primario, ovvero della produzione di nuovi capi di abbigliamento: la quota di tessuto riciclato, l’importanza della circolarità nella comunicazione del brand, la qualità per la manutenzione dei capi e la disponibilità nella riparazione per estendere la vita del capo. Tre, invece, del secondario, che riguardano il second hand, servizi di noleggio e i programmi di raccolta diretta.
In generale, la Francia raggiunge una media di 3,4 punti su un totale di 10, a seguire i marchi americani e quelli tedeschi. In fondo alla classifica i brand dell’Asia Pacifica, come quelli indiani, che con un punteggio di 1,51 compromettono la media mondiale.
Circolarità: Patagonia è al primo posto
In cima alla classifica redatta da Kearney troviamo Patagonia, con un punteggio di 8,65/10. Il marchio si impegna storicamente nella circolarità, parte integrante dell’idea, della volontà e del pensiero del suo fondatore, Yvon Chouinard, che ha da sempre perseguito come primo obiettivo la sostenibilità nella produzione di tutti i suoi capi.
Grazie a lui, oggi Patagonia è il marchio di abbigliamento più eco-friendly al mondo, impegnato anche nell’istruire generazioni di attivisti con una chiara missione: trovare una soluzione alla crisi ambientale in atto. Ad alzare il punteggio, oltre ai valori etico-morali e alle buone pratiche nella vita affaristica, la comunicazione sulla circolarità e gli strumenti di autovalutazione adottati.
Segue Levi’s, con 8,30 punti. Tra le varie iniziative, lo storico brand di jeans ha creato una pagina dedicata all’acquisto di prodotti in denim riciclato. Levi’s ha, inoltre, divulgato la mappa dei suoi fornitori, un atto di trasparenza in merito alla propria impronta di carbonio. The North Face è invece alla terza posizione, con 7,90 punti.
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Il lusso italiano vince per circolarità
L’Italia giunge, invece, al quarto posto con OVS e al quinto con Gucci, che, da parte sua, capeggia il lusso a livello mondiale. Seguono Coach, Burberry, Moncler, Louis Vuitton, Golden Goose, Hermés, Saint Laurent, Alexander McQueen e Balenciaga.
In ambito di circolarità, cresce Jimmy Choo, grazie alla partnership instaurata con TheRealReal. Ai clienti che rivendono i propri prodotti attraverso la piattaforma, infatti, viene offerta un’esperienza esclusiva nei monomarca della griffe, che nel 2022 ha aumentato la quota di articoli in materiali riciclati o di provenienza responsabile.
Fra gli obiettivi della classifica, oltre a quello di incentivare la consapevolezza del consumatore finale in fase di acquisto, quello di evidenziare non tanto cosa non si è fatto, quanto piuttosto cosa ancora si possa fare.
I brand italiani sembrano concentrarsi sull’uso di tessuti riciclati, mentre le soluzioni di noleggio, seconda mano e drop-off sono meno popolari. Questo è probabilmente un tema culturale, legato anche all’interesse dei consumatori italiani verso il made in Italy, i tessuti organici e riciclati, come dimostrano le nostre recenti indagini sui consumatori.
Dario Minutella, principal di Kearney
La maggior parte dell’impatto ambientale dell’industria del fashion avviene proprio nella produzione di capi nuovi. Ecco perché una delle leve principali per cambiare direzione è estendere la vita del prodotto.
Per poter incrementare la percentuale di tessuto riciclato è infatti fondamentale dare vita a maggiori volumi di raccolta post-consumer, servizi smart di smistamento per disassemblarli e riciclarli, investimenti in ricerca per una tecnologia più innovativa. Ma serve anche tanta educazione. Le maison di moda rappresentano, infatti, soltanto uno degli attori in scena: ci sono anche i consumatori, la filiera, così come i regolatori.
Da soli non si può cambiare. Se vogliamo rendere l’industria davvero circolare, tutti devono fare la propria parte.
Daniele Conforti