
Louis Vuitton contro i dupe: il cambiamento per il futuro della moda
Negli ultimi mesi, Louis Vuitton ha deciso di alzare il tiro. La maison di punta del colosso LVMH ha avviato una serie di azioni legali contro il dilagare di dupe e imitazioni sempre più sfacciate dei suoi prodotti di punta, mirando non solo a piccoli produttori sconosciuti, ma anche a marchi ben consolidati. Il caso più emblematico è quello contro Steve Madden, storico brand americano noto per i suoi modelli “ispirati” ai successi delle grandi maison.
Al centro della disputa, la Multi Pochette Accessoires, una delle borse più iconiche di Louis Vuitton. La versione Madden, chiamata Burgent, è finita nel mirino dei legali francesi con l’accusa di imitazione diretta. Non solo: Louis Vuitton ha chiesto anche il divieto di vendita del modello in tutta l’Unione Europea, alzando drasticamente l’asticella della sfida.
Una questione di giurisdizione (e di principio)
Il nodo legale più spinoso è di natura giurisdizionale. Steve Madden ha sede nei Paesi Bassi, ma la causa è stata intentata in Francia. La corte parigina, rilevando l’assenza di giurisdizione automatica sull’intero mercato europeo, ha deferito il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). La sentenza potrebbe segnare un punto di svolta. Se la corte europea dovesse dare ragione a Louis Vuitton, il precedente legale aprirebbe la strada a una nuova stagione di cause pan-europee contro i produttori di dupe, rendendo molto più semplice per i brand di lusso difendere la propria proprietà intellettuale su scala continentale.
Nel frattempo, Louis Vuitton ha incassato un’altra importante vittoria, questa volta in una causa promossa da un altro gigante del lusso: Van Cleef & Arpels. Il brand del gruppo Richemont aveva accusato Louis Vuitton di aver copiato il suo celebre motivo floreale Alhambra nella collezione Color Blossom, sostenendo l’ipotesi di concorrenza parassitaria. Ma la Corte di Cassazione francese ha rigettato l’accusa, riconoscendo che il quadrifoglio è un elemento decorativo comune e che Vuitton aveva utilizzato un design proprio, sebbene simile.
Il verdetto, oltre a rappresentare un successo specifico, ha rafforzato la posizione della maison nel contesto delle dispute sul design, riaffermando che la forza distintiva di un brand non è solo nella forma, ma nel valore culturale e storico che porta con sé.
Il valore di un simbolo: la vittoria sull’imitazione del Monogram
Un altro tassello strategico si è aggiunto a ottobre, quando l’EUIPO (Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale) ha respinto la domanda di registrazione di un marchio troppo simile al celeberrimo Toile Monogram. Il tentativo, messo in atto da un soggetto terzo, mirava a ottenere diritti su un pattern utilizzabile su abbigliamento e pelletteria. Il rifiuto è stato secco e chiaro: «Tentativo di free riding», ovvero di sfruttamento illecito della reputazione di un marchio noto. L’ennesima dimostrazione che, nell’era del dupe sistemico, anche i dettagli più iconici vanno difesi con le unghie e con i denti.
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I dupe sono ovunque, ma la legge inizia a reagire
Il problema è più pervasivo di quanto sembri. Secondo Vogue Business, l’hashtag #dupe su TikTok ha superato i 6,3 miliardi di visualizzazioni, quasi raddoppiando in un solo anno. Il fenomeno non è più marginale né folkloristico: è un nuovo segmento di consumo, spinto da Gen Z e giovani Millennials alla ricerca del lusso accessibile, spesso attraverso l’imitazione dichiarata.
Così, marchi come COS e Zara dominano le classifiche virali con capi che richiamano in tutto e per tutto i pezzi forti delle passerelle. Il maglione in cachemire di COS, diventato virale e finito nella classifica di Lyst, è un dupe dichiarato di The Row, mentre i mocassini di Massimo Dutti ricordano fin troppo quelli di Saint Laurent. La sneaker slim di COS? Una versione rielaborata – e resa accessibile – delle celebri Minimal Sneakers di Dries Van Noten. Il concetto stesso di “inspired by” è ormai diventato un linguaggio commerciale.
Una strategia d’attacco in un settore in crisi
Il timing delle cause legali non è casuale. La moda è in difficoltà. I bilanci dei giganti del lusso, da Gucci a Burberry, mostrano segni di rallentamento. In questo scenario, il valore di un brand non è solo estetico, ma profondamente economico: ogni copia venduta è un margine perso, ogni dupe virale è una perdita di prestigio.
Ecco perché la causa contro Steve Madden non è solo una battaglia di stile, ma una guerra per la sopravvivenza identitaria. Se la CGUE si esprimerà in favore di Vuitton, il messaggio sarà inequivocabile: copiare non sarà più impunito. E ogni dupe virale potrà diventare una prova a carico.
Solo due mesi fa, anche Hermès è finita nel mirino dei dupe. Il suo modello iconico, la Birkin, è stato copiato spudoratamente e rivenduto nei punti vendita di Walmart a meno di 80 dollari. Un attacco frontale non solo al design, ma al concetto stesso di esclusività. Il fatto che il modello sia andato sold out in poche ore – per poi riapparire su marketplace alternativi a 300 dollari – dice molto su quanto fragile sia oggi il confine tra lusso e fast fashion.
Nel mondo contemporaneo, la reputazione è un asset commerciale. I brand lo sanno e iniziano a reagire. Ma fino a che punto la legge potrà tutelare l’originalità senza soffocare la creatività? La risposta arriverà presto. La causa intentata da Louis Vuitton davanti alla CGUE non è una semplice questione di risarcimento: è un banco di prova per l’intera industria.
Se la sentenza sarà favorevole, i brand avranno un’arma legale poderosa, capace di frenare un fenomeno che non è più underground, ma mainstream. E forse, per la prima volta dopo anni, sarà possibile invertire la rotta, restituendo valore autentico a ciò che è stato davvero pensato, disegnato e costruito per durare.
Daniele Conforti