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La Distorsione Couture di Balenciaga

Giorno tre. Il Rinascimento dell’haute couture è palpabile. Inquieto, cinico, non di rottura ma di distorsione di un passato evoluto. Demna Gvasalia è il pioniere di questa rinascita. Balenciaga sfila nella storia sede di Avenue George V a Parigi, dove Monsieur Cristóbal aprì il suo primo negozio in fuga dal Paese natìo, la Spagna, dilaniato dalla Guerra Civile. È qui che il brand riaprirà l’atelier chiuso nel 1968, dove ospiterà limited edition e servizi di personalizzazione per una clientela affezionata ed esclusiva, proprio come accadeva alle origini.

Anche la passerella presenta forti richiami agli atelier tradizionali. Qui modelle e modelli passeggiano eleganti, in una versione quasi caricaturale dello stile anni Cinquanta, un passo prudente che amalgama tutti gli elementi di forte distorsione che compongono la collezione. L’opulenza dell’Haute Couture di ieri incontra l’irriverenza di oggi, lo spirito cinico di Demna sovverte il luccichio dell’ideale.

Squarcia la scena l’angoscia futurista di maschere aliene realizzate in collaborazione con Mercedes-Amg F1. I volti sono celati, così come la tridimensionalità delle creazioni: divise total black sono la seconda pelle di figure in bilico fra reale e virtuale. Viene impiegato in questa istanza il neoprene Made in Japan. La musica dello show proviene da borse-speaker, una collaborazione con Bang & Olufsen.

Il ricorrente tema dell’anonimato, codificato da Balenciaga come estetica identificativa in chiave di censura sociale, da spazio a volti che, progressivamente, svelano i volti di star familiari alla maison.
La collezione racconta l’evoluzione del percorso alla guida del marchio: dal denim, già presente durante la collezione couture dello scorso anno, a colli svettanti su trench e lunghi cappotti stretti in vita.

In un flusso à rebours dal futuro al passato, chiudono la scena magnifiche creazioni fra volumi e strascichi che evocano gli archivi del fondatore, indossate da star che rendono il momento memorabile. Prima Dua Lipa e Bella Hadid, seguite da Kim Kardashian, nell’iconica silhouette diventata propria, Nicole Kidman, incartata d’argento reminiscente del glamour hollywoodiano, e Naomi Campbell – ci chiediamo come, viste le sontuose dimensioni dell’abito e gli spazi minuti della venue, l’effetto elefante in una cristalleria sia stato sbaragliato dall’impeccabile presentazione della supermodel. Chiudono un abito fastoso in rosa, un vero e proprio statement senza generi, e un velo incrostato di preziosi, rivisitazione visionaria dell’abito da sposa, che chiude goffamente una collezione da dieci con lode. La messa in scena di un concetto che estirpa il farraginoso bello assoluto, per suscitare sgomento, nostalgia, stupore, compimento.

Daniele Conforti