Jeremy Scott lascia Moschino dopo 10 anni
La corsa di Jeremy Scott da Moschino finisce qui. Dieci anni di camp, colori, fantasie, concetti deliziosamente superficiali, ma mai banali. La notizia, divulgata dal profilo Instagram del designer, ha sorpreso l’intero fashion system, dai fan a chi non ne può più di colpi di scena.
Ha forse letiziato coloro che negli anni hanno accusato Jeremy di aver involgarito Moschino, privandolo di quella forza motrice socialmente impegnata infusa dal fondatore. Ma il quesito più stuzzicante è, senza dubbio, il futuro del brand. Jeremy Scott, oltre a Olivier Rousteing di Balmain, era infatti fra gli ultimi direttori creativi storici rimasti alla guida del medesimo brand per un intero decennio e oltre.
Previsioni a parte, il designer ci lascia così:
Questi dieci anni da Moschino sono stati una celebrazione meravigliosa della creatività e dell’immaginazione. Sono così orgoglioso dell’eredità che lascio. Vorrei ringraziare Massimo Ferretti per l’onore di guidare questa casa iconica. Vorrei anche ringraziare tutti i miei fan intorno al mondo che hanno celebrato me, le mie collezioni e la mia visione perché senza di voi niente di questo sarebbe possibile.
Spiritoso, colorato, pop. Forse, per i canoni odierni, un po’ troppo. Ma all’ora, nel 2013, una visione tanto scanzonata come quella di Jeremy Scott trovava consensi in ogni dove.
Perché la sua voce, tanto fuori dal coro quanto melodia ipnotica per il pubblico di allora, risuonava dagli schermi di tutto il mondo: Britney Spears, Madonna, Katy Perry, Nicki Minaj, Cardi B, Khloe Kardashian, sono molteplici le star che si sono affidate alla prospettiva singolare di Jeremy.
La sua più grande ispirazione? Il consumismo americano. Lo ritroviamo nella collezione di debutto, quella del 2014, che ambienta una giacca bouclé ispirata a Chanel in un McDonald’s.
L’anno successivo, l’Estate 2015 è popolata da Barbie in scala reale, mentre per la collezione SS17 Moschino fa sfilare le paper dolls (bambole di carta). E se la Spring/Summer 2020 celebra Pablo Picasso, la Primavera 2023 ci porta in un mondo animato da gonfiabili colorati.
La capacità di prendere un marchio che aveva radici così profonde in una sensibilità degli anni Ottanta e riportare l’umorismo, la stravaganza della produzione e prendere lo chic ironico del marchio e reinventarlo per un nuovo cliente è stato a dir poco geniale.
Ken Dowing, il direttore della moda di Neiaman Marcus, parla così al New Yorker. Rimarca l’intelligenza di Jeremy Scott e la sua maestria nel riportare in auge un brand che pian piano stava appassendo, in particolar modo dopo la morte di Franco Moschino, il fondatore, per complicazioni legate all’AIDS nel 1994.
Qual è il futuro di Moschino senza Jeremy Scott?
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Un percorso lodevole, insomma. Che, tuttavia, a livello commerciale stava cominciando a zoppicare. L’energia turbo-pop di Moschino si era avvicinata troppo al consumatore, perdendo quell’allure prezioso che contraddistingueva il marchio alle origini.
È forse questa la chiave di volta che permetterà alla nuova direzione creativa di risollevare nuovamente Moschino. Il prossimo capitolo del brand punterà al recupero della vena di attivismo tanto cara al fondatore, che all’ironia sapeva bilanciare tematiche profonde.
Dagli orsacchiotti posizionati sull’orlo di un abito a imitazione delle stole di pelliccia che ancora venivano indossate negli anni Novanta, allo show disegnato da Rossella Jardini dopo la morte di Franco, protestando contro l’inquinamento in favore della pace e del riciclaggio. La stessa collezione, la Spring/Summer 1994, presentava uno stormo di bambini vestiti da fiocchi rossi dell’AIDS.
A chi verranno consegnate le chiavi del brand? La scelta del gruppo Aeffe potrebbe ricadere su un giovane designer di grido per rimodulare gli assetti visivi del brand, andando a riposizionarlo nel mercato del lusso. Rimpolpando la proposta di Moschino con accessori di culto e desiderabili.
I nomi? Si parla di Alessandro Michele – persino di Paris Hilton. Si guarda a talenti meno mainstream come Andrea Batilla, Cormio o Marco Rambaldi, che potrebbero riuscire nell’impresa di calibrare il tono del brand verso un atteggiamento più pungente e concreto.
Daniele Conforti