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Alle Frontiere della Sostenibilità: il Futuro della Moda

Siamo appena entrati nei ruggenti Anni Venti e già stiamo assistendo al destino del fast fashion, un’industria sfruttata fino allo sfinimento, il cui impatto dannoso è dettato dal binomio “profit over quality”. Un sistema che ha inciso pesantemente nell’approccio nei confronti dell’abbigliamento, supportato dal contatto più diretto fra produttore e consumatore che i social media offrono.

È proprio qui che le immagini delle discariche a cielo aperto per gli abiti usati di mezzo mondo del Deserto di Atacama e di Al Jazeera hanno rappresentato un punto di svolta. Per cui persino le grandi catene di fast fashion hanno lanciato campagne sulla sostenibilità. Non sono soltanto Zara e H&M a contribuire alla deforestazione della foresta pluviale in Amazzonia. Coach, LVMH, Prada, Adidas, Nike, New Balance, Teba, UGG e Fendi, secondo un recente studio condotto da Stand.earth, compaiono fra i cinquanta marchi collegati al più grande esportatore di pelle brasiliano, JBS, individuato come uno dei responsabili principali della deforestazione amazzonica.

Delle 84 aziende considerate nel rapporto, afferma il ricercatore Greg Higgs, ben 23 riportano all’interno dei propri core value politiche esplicite contro la deforestazione. Una violazione delle proprie politiche, messa in atto aggirando o comunque ignorando le ingenti restrizioni.

Fashion Industry: buono o cattivo esempio?

Oggi, il settore della moda riceve pressioni da organizzazioni e leader nella realizzazione di una comunicazione volta a ispirare il consumatore, facendo del brand stesso un vero e proprio modello da seguire. Agli occhi del pubblico, un esempio da emulare. Un esempio che, per quanto autentico ed efficacie, raggiunge soltanto gli utenti che ricercano intenzionalmente queste tipologie di contenuti. Non ci stupisce che il concetto di sostenibilità non crei empatia con il consumatore: sembra un compromesso per vivere con meno. La fashion industry si è rivelata eccellente nel difendere ciò che la società trova attraente e piacevole. E se queste abilità fossero utilizzate per creare una visione alternativa della “bella vita” del futuro? Più tendente ai rapporti piuttosto che al consumo?

Il concetto di sostenibilità si rivelerà, quindi, sicuramente più individualista. L’idea di una produzione di massa rivolta a taglie standard e tipologie di fisico generiche è oramai superato. E altrettanto personale sarà l’approccio al consumo: recuperare, riparare e far di tutto per allungare la vita di ogni singolo capo.

Non ci stupisce che il concetto di sostenibilità non crei empatia con il consumatore: sembra un compromesso per vivere con meno. La fashion industry si è rivelata eccellente nel difendere ciò che la società trova attraente e piacevole. E se queste abilità fossero utilizzate per creare una visione alternativa della “bella vita” del futuro? Più tendente ai rapporti piuttosto che al consumo?

Sostenibilità: come si muovono i brand?

Buy Better, Wear Longer (acquista meglio, indossa più a lungo) è il nuovo mantra adottato da Levi, Strauss & Co., che si ripropone di realizzare prodotti la cui filiera tenga maggiormente conto della qualità e del controllo dei materiali, al fine di incrementare la durabilità del prodotto finito. Cosicché al consumatore si presentino maggiori occasioni per indossare i propri capi preferiti. Gli obiettivi del brand per il 2025: l’impiego di un cotone sostenibile al 100%, energia completamente rinnovabile, la riduzione dell’emissione di gas serra pari al 40% e dell’utilizzo di acqua nel processo manifatturiera del 50% (in questo caso, si pensa al 2030).

Obiettivi nobili, soprattutto se condivisi da piccole attività e grandi multinazionali. Per le quali si prevede l’introduzione di materiali biodegradabili e sostenibili, come la pelle derivante da tessuti riciclati e vegetali. È uno step necessario, soprattutto considerando l’eccessivo affidamento a materiali sintetici derivati da combustibili fossili, come poliestere e nylon. Una stima ci racconta come 342 di barili di petrolio grezzo non rinnovabile vengano utilizzati per la produzione di tessuti di scarsa, scarsissima qualità – che determina un’usabilità tendente allo zero e un tempo per lo smaltimento tendente a infinito. D’altra parte, il cotone naturale richiede una massiva quantità d’acqua, pesticidi e fertilizzanti, andando a privare la Terra delle sue risorse naturali e a danneggiare l’ecosistema.

Di origine vegetale e cruelty-free è la pelle derivata dal micelio, una parte che compone le radici dei funghi, brevettato da Bolt Threads e supportato da un consorzio formato niente meno che da Adidas, Kering, Lululemon e Stella McCartney, che la introduce per la prima volta nella collezione Primavera/Estate 2022. Simile alla pelle di vitello, questa soluzione ecosostenibile è rigenerativa e, nutrendosi di semplici risorse naturali, può essere prodotta in laboratorio. Quindi, zipper e metalleria esclusi, questi capi risulteranno biodegradabili.

È questo il punto: investire ed esplorare alternative che non siano estrattive, trovare soluzioni alternative che non siano di origine animale, né a base di plastica: fibre ecologiche come la canapa, il cotone biologico e riciclato, il caucciù, la juta e la ramia oppure alternative da laboratorio come il Tencel o il Lyocell. alle declinazioni più fantasiose come il Dessero, il tessuto vincitore dei LVMH Awards 2020.

Recentemente, anche Emporio Armani pensa a una capsule sostenibile votata alla funzionalità. Confermando un impegno sempre più attivo nei confronti dell’ambiente, il deisgner alterna il crêpe traslucido con stampa all over o superfici tridimensionali al tessuto memory tinto in filo con trama in filato Sorona con stampa camouflage (il poliestere bio based brevettato da Dupont), spaziando dal nylon crêpe, velluto duemila righe in cotone organico super soft fino a lane rigenerate con membrana anti-vento. Sempre sui toni della terra, Emporio Armani propone quattro modelli di occhiali, due da vista e due da sole, realizzati in bio-acetato, quattro orologi e un gift set in materiali a basso impatto. Il tutto, avvolto in packaging compostabile e certificato.

Daniele Conforti