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Parliamo del debutto di Alessandro Michele da Valentino

L’attesa per la prima sfilata di Alessandro Michele come direttore creativo di Valentino era palpabile e il risultato non ha deluso le aspettative. Presentata durante la Paris Fashion Week per la collezione Primavera/Estate 2025, la sfilata ha subito diviso il pubblico tra entusiasti e critici, confermando che Michele non teme di scardinare le convenzioni e giocare con i codici della moda in maniera audace e personale.

Il contesto del debutto: una transizione epocale

Siamo rimasti tutti sconvolti quando le testate giornalistiche di spicco annunciavano l’abbandono da parte di Pierpaolo Piccioli della maison Valentino. Folgorati e trepidanti in attesa del debutto di Alessandro Michele. Ci chiedevamo quale sarebbe stata la nuova estetica di Valentino, riletta in maniera estremamente personale da Piccioli e cementatasi quasi come sinonimo del brand stesso.

Michele, reduce dal suo periodo trasformativo da Gucci, ha portato con sé una visione fortemente concettuale e un’attenzione ossessiva per i dettagli. È chiaro come suo stile barocco, amato per il suo sovraccarico di simboli, colori e riferimenti storici, rappresenta una transizione decisa rispetto all’approccio romantico e minimale che Piccioli aveva sviluppato negli anni precedenti.

La location scelta per il debutto è stata il suggestivo Palais de Tokyo a Parigi, un simbolo di modernità e tradizione che rispecchia la duplicità presente nel lavoro di Michele. L’architettura monumentale e contemporanea del palazzo ha creato un contrasto con la ricchezza delle creazioni sartoriali che sfilavano sulla passerella.

L’estetica della collezione: l’omaggio e la dissidenza

La collezione primavera-estate 2025 di Alessandro Michele per Valentino si sviluppa come un viaggio visivo attraverso diversi periodi e culture, un incontro tra elementi storici e futuristici. Michele riprende alcuni elementi iconici dell’archivio Valentino, ma li reinventa con una sua personale visione. Le silhouette sono fluide e teatrali, richiamando l’opulenza delle corti rinascimentali, ma con accenti contemporanei e gender fluid. Gonne voluminose si sovrappongono a giacche dalla linea essenziale, mentre tessuti leggeri come il tulle e la seta vengono contrastati da materiali più strutturati, come il broccato e il velluto.

Il designer gioca con i codici cromatici del rosso Valentino, trasformandolo in qualcosa di più complesso. Il classico colore diventa una tela su cui dipingere nuove emozioni, arricchito da sfumature che vanno dal porpora al carminio. Anche l’uso delle stampe e delle applicazioni tridimensionali appare come una citazione delle decorazioni barocche, dove ogni dettaglio ha una storia da raccontare.

La costruzione sartoriale: un capolavoro di artigianalità

Uno dei punti di forza della collezione è senza dubbio la costruzione sartoriale. Alessandro Michele dimostra ancora una volta la sua maestria nel manipolare i tessuti e nel creare volumi che sembrano scultorei. Ogni abito è un’opera d’arte, dove pieghe e drappeggi sono studiati al millimetro per valorizzare la figura, pur mantenendo quell’alone di decadenza che caratterizza il suo stile. Le giacche dalle spalle oversize, abbinate a pantaloni slim, evocano una forza maschile ma reinterpretata attraverso uno sguardo femminile, suggerendo una ridefinizione dei generi.

Un dettaglio che ha particolarmente colpito il pubblico è l’uso del plissé, che il neo direttore creativo eleva a simbolo di movimento e libertà. Non è un semplice ornamento, ma diventa parte integrante della narrazione visiva, creando un contrasto tra rigidità e fluidità che è il filo conduttore della collezione.

Alessandro Michele non è nuovo a giocare con i riferimenti culturali, e la sua prima collezione per Valentino è ricca di citazioni. Tra i più evidenti, troviamo l’omaggio all’universo di Federico Fellini, con richiami alla moda anni Sessanta e ai costumi dei suoi film più celebri. Non mancano anche riferimenti all’arte classica, con abiti che sembrano usciti dai dipinti di Tiziano e Caravaggio, reinterpretati attraverso una lente pop e moderna.

Un altro elemento centrale della sfilata è l’uso della musica, con un arrangiamento del Bolero di Ravel che accompagna l’intera presentazione, conferendo un ritmo ipnotico e crescente al fluire degli abiti. Questa scelta sonora sottolinea la ciclicità del tempo, tema centrale nella poetica di Michele, che cerca di fondere passato, presente e futuro in un’unica narrazione.

 

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Uno degli aspetti più affascinanti del lavoro di Michele è il suo uso del tempo come strumento creativo. Non è legato a una linea temporale tradizionale, ma piuttosto costruisce una narrazione fluida, dove passato, presente e futuro si sovrappongono. La sua collezione non cerca di celebrare una specifica epoca, ma esplora il tempo come materia viva, manipolabile. Michele ha sempre considerato il passato come un “giacimento inesauribile di possibilità”, e questa sua visione si riflette nella scelta dei tessuti, delle forme e delle silhouette.

La reazione del pubblico al Valentino di Alessandro Michele: divisioni e applausi

Come spesso accade con le collezioni di Alessandro Michele, anche questa volta il pubblico si è diviso. Se da un lato molti hanno apprezzato l’audacia e l’innovazione del designer, dall’altro alcuni critici hanno espresso dubbi sulla direzione troppo teatrale e barocca della maison. Tuttavia, i buyer internazionali sembrano essere stati conquistati, vedendo in Michele un visionario capace di trasformare la moda in un linguaggio universale, che parla a diverse generazioni e culture.

Perché sì, c’è chi in questo Valentino rivede tanto, troppo Gucci. La cifra stilistica dopotutto è la stessa, la mente creatrice che ammassa e dà un senso è la medesima. Le citazioni a Valentino nella SS25 sono però tantissime: dalle stampe haute couture Primavera/Estate 1972, ai volant bianchi della SS 1980, passando per la centralità del fiocco dell’haute couture della Primavera 1986, fino alla tesa larga e rossa o alle vestaglie dell’haute couture Primavera/Estate del ’94. Insomma, a Michele tutto gli si può dire fuorché non abbia fatto fede all’heritage di Valentino.

Daniele Conforti