Milano Fashion Week Day 1: Fendi, Diesel e Marco Rambaldi
Il democratico Diesel
Se pensavi che la moda e i fashion show fossero appannaggio di pochi eletti, per Diesel sei nel torto più marcio. Se i social media hanno indubbiamente democratizzato la moda, rendendone il consumo alla portata di tutti – per lo meno a livello di contenuti, più che di prodotti – Diesel si spinge un passo avanti. Glenn Martens, alla sua seconda prova per il brand ammiraglio di OTB Group, invita al suo show quasi cinquemila persone, di cui 1600 studenti. Le maxi sculture gonfiabili che sormontano il set battono il record per dimensioni.
Vogliamo lanciare un messaggio la moda è di tutti e Milano ne è la capitale. Per la prima volta anche tutte le persone che hanno lavorato alla collezione possano vedere in passerella il frutto del lavoro di mesi, e che tanti giovani, che sono il futuro di questo settore, possano vivere live un momento così magico.
Renzo Rosso
L’Allianz Cloud Arena vede sfilare pezzi ready-to-wear dal deciso carisma. Qui, la filosofia di Glenn Martens ha il suo compimento più sublime: gli anni Duemila prendono vesti ancora più cool. I pantaloni utility con tasche sproporzionate sono solarizzati, i cappotti richiamano l’estetica Matrix, le hoodie diventano abiti.
Fa capolino il denim, ora ricamato in dévoré con uno strato di tulle che viene poi strappato, ora plastificato come fosse gelatina, oppure sfrangiato a creare silhouette haute couture. I fit oversize lasciano spazio a momenti grunge e sexy, fra corsetti, abiti trasparenti, tessuti laminati e stivali stampa coccodrillo a punta.
E visto che Diesel è pioniere del metaverso con la guida salda di Stefano Rosso, ogni singolo ospite della sfilata ha ricevuto un nft commemorativo. Dal front row, Renzo Rosso guarda con approvazione. In prima fila spuntano Marco Bizzarri e Remo Ruffini.
Odi et amo by Marco Rambaldi
Contrasti, tensioni, opposti. La sfilata di Marco Rambaldi ha luogo in un clima quasi sinistro; il sole è incerto e impallidisce il paesaggio bucolico del parco Industria Alfa Romeo. Gli ospiti, accomodati sulla panchina più lunga del mondo, assistono alla contrapposizione dei sentimenti, al collidere di amore e odio. Odi et amo non è un semplice riferimento catulliano, ma un manifesto che traduce gli impeti dell’animo in abiti elaborati. L’amore è sofferente, la gioia opprimente.
Marco Rambaldi vuole stare alla larga dall’indifferenza, soprattutto in questo momento storico. Lo fa attraverso il cast estremamente inclusivo, che abbraccia etnie, generi e religioni diversi. I black dress iniziali aderenti danno bruscamente spazio a outfit coloratissimi, abiti in jersey cut-out e tubini con telefonini incorporati. Le creazioni all’uncinetto sono amalgamate dalla presenza del cuore, ora baciato all-over, ora impiegato come bottoncino su un top.
Fendi: Kim Jones si ispira a Karl Lagerfeld
Prosegue la narrazione degli opposti il processo creativo di Kim Jones, materializzatosi in una sfilata pregna di contrasti. Il minimalismo anni Novanta e le tinte soavi si imbattono in ecletticismo pop e colori acidi. L’evocazione è quella di Karl Lagerfeld e, in particolare, della transizione fra gli anni Novanta e gli anni Duemila. Uno sviluppo tecnico e visivo che, più che a separare, tende a unire due visioni, che, frammentate, compongono un nuovo scenario. Della tradizione passata troviamo l’impiego di kimoni traforati, obi e tablier, il famoso abito francese che nasce dal grembiule che si sovrappone al resto quando si serve a tavola. Il minimalismo favorisce così lo scopo pratico della collezione: «le donne di Fendi sono donne forti con vite colme e impegnate», afferma Kim Jones.
Una palette ben definita, ma variegata, dove la leggerezza dell’organza fluttuante si combina alla concretezza della pelliccia dei mini-dress. Come liane, si muovono le maxi fibbie con la doppia F, poco ricorrente nel corso dello show. La maglieria si abbina a gonne dalla silhouette allungata, la maglieria in visione che però sembra lana infeltrita.
L’impronta minimal del ready-to-wear di Fendi è impreziosito dai gioielli di Delfina Delettrez Fendi. «Il logo quasi scompare nell’architettura funzionale che sospende ogni pietra», racconta. Della pelletteria si occupa Silvia Venturini Fendi, che alterna tote voluminose alle nano Fendigraphy.
Daniele Conforti