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Gucci Cosmogonie: la Magica Storia fra Incontri ed Esoterismo

Magia, dialogo con lo spettatore a livello architettonico, estetico, cabalistico, magico, esoterico, morale. Stupore. Stupor Mundi era il secondo nome di Federico II di Svevia, che fra il 1240 e il 1250 fece erigere l’enigmatico Castel del Monte in cima a una collina nell’alta murgia pugliese, ad Andria. È qui che Gucci trasforma l’inespugnabile location in un gigantesco planetario denso di costellazioni, grazie alle proiezioni astrali di Cosmogonie. In un rave fra abiti e suoni, la fortezza sembra risvegliarsi da quel sonno placido al quale l’uomo che lo creò lo condannò da subito, per proteggerlo, forse, o venerarlo.

 

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Il castello ha misure magiche come sono magiche le misure dei colli delle camicie e le misure delle giacche: mi è sembrato che qui anche la disposizione delle pietre della costruzione racconti la genesi del mio lavoro, ma soprattutto racconti quanto per fare il mio lavoro sia importante mettere insieme delle costellazioni di cose.

Alessandro Michele

Cosmogonie riprende il mito, la poetica e la dottrina che nei secoli hanno tentato di fornire una spiegazione ben più che scientifica alla formazione dell’Universo e che poi ha assunto la definizione di quella parte dell’astronomia che studia la formazione e l’evoluzione dei corpi celesti. Ma è l’incontro a trainare i sofisticati riferimenti della sfilata. Una vera opera d’arte che elude a stagioni codificate e generi tradizionali. Così, Alessandro Michele raduna in un lessico universale alimentato dalla memoria e dal momento, da intuizioni e riflessioni, da associazioni e reminiscenze, una formula dell’apparire tanto personale quanto diversa. Il suo scopo, filosofico e materico, è quello di unire i puntini, proprio come Federico II di Svevia fece per edificare Castel del Monte, frutto di maestranze di diverse etnie.

Suggestioni e rischi, come l’allusione all’intricata simbologia dell’otto, che ritorna puntale nella struttura del castello, o presentare una nota di sfilata che è un saggio sul filosofo Walter Benjamin. Egli, esule ebreo insieme ad Hannah Arendt, si uccise per sfuggire dalla Gestapo dopo il sequestro della sua biblioteca. «Come poteva, proprio lui, guadagnarsi da vivere senza le lunghe raccolte di citazioni e gli estratti?», si domandava in un testo Arendt. E qui la connessione con il lavoro di Michele, che, a suo dire, non si limita al sarto o al couturier, o al servizio di mecenati. Con questa collezione, il direttore creativo di Gucci vuole raccontare la propria idea del mondo.

Centouno uscite, che saranno disponibili da qui a sei mesi. Ritroviamo l’Inghilterra Elisabettiana e un certo spirito francese nei cappotti a grandi selezioni di colore, l’alta moda italiana negli abiti chiaramente anni Sessanta e la tradizione hollywoodiana nelle cappe di scimmia finta. Non manca la dimensione fiabesca finale, in un abito ricamato ad astri notturni di cristalli su velluto blu.

Io faccio sempre brillare gli abiti, se posso. Le cose che brillano rendono ambigue le forme. La collezione si è trasformata in una festa: le forme vengono dagli anni Trenta e Quaranta… Poi mentre componevo è nato un rave dei vestiti, delle moltitudini e delle persone che cercano di essere qualcosa. Corpi che diventano vestiti e vestiti che diventano corpi. E io adoro incorniciare i colli e le teste.

Alessandro Michele

Sotto al plenilunio luccica la colonna sonora di Abel Korzeniowski, tratta dal film W. E. con la regia di Madonna. E qui si compie la Storia. Un eterno susseguirsi di rivisitazioni, deviazioni di idee, riferimenti, in cui ogni creazione è delizia, dà vita a rotture, influenze, vicine e lontane, da cui la singolarità del gesto dell’autore partorisce un’opera del tutto originale e, quindi, contemporanea.

Commuovono le reinvenzioni di accessori tipicamente anni Novanta, spalle anni Trenta e Quaranta alla maniera di Greta Garbo, orecchini che collegano, come in Tibet o in India, il naso con le orecchie, stivali bondage, colli e teste incorniciate, pelli tribali, mantelli di maglia metallica medioevali, baby doll conturbanti, gioielli che arricchiscono i volti come quelli delle donne nelle cerimonie dei matrimoni berberi, cuissardes a tutta gamba. Colori raffinati si susseguono, in libertà, brillanti e sfacciati, sferzati da toni solenni e tragici. Tutto senza connotazioni di genere, elementi cosmogonici che raccontano storie di tutt’altro mondo.

Ad assistere, i Måneskin in Gucci Exquisite, a cui sarà affidato l’after-party, Dakota Fanning, Lana del Rey, Jannik Sinner ed Emma Marrone.

Oggi fare moda non è più fare un solo mestiere. Non è più fare il sarto o il couturier che si mette al servizio dei clienti. Oggi mettere insieme una collezione vuol dire raccontare la propria idea del mondo attraverso i vestiti che, a loro volta, non sono più al servizio di un’occasione. Perché la moda è esplosa, cerca di parlare a tutti, non è un geroglifico destinato a un’élite. La moda è la moda anche senza il business che ha creato. La moda esiste indipendentemente dalla presenza dei designer anche se il sistema l’ha resa una piattaforma molto redditizia. Oggi fare il mio lavoro vuol dire entrare in una specie di linguaggio multiplo: personalmente, quando lavoro viaggio attraverso le forme, i colori, le referenze multiple… Ma alla fine non si può prescindere dal fatto che un vestito ha, anzi deve avere, un rapporto con il corpo. In tanti anni mi sono reso conto di quanto la moda abbia bisogno dell’altrui pensiero: è un incontro di forme, di vite, di attitudini, di storie.

Alessandro Michele

Il desiderio di Alessandro Michele è quello di restituire alla moda ciò che la moda di più puro ha da offrirci: la gioia. Una gioia spinoziana, l’aumento di potenza di agire. Contro le convenzioni, i preconcetti, le regole, i sistemi. Agire con il buonumore, intrattenendo un pubblico nella speranza che, con un certo capo, si sentirà meglio.

Daniele Conforti