Quando Comprare Second-Hand è La Scelta Giusta
Una Birkin 25 di Hermès in pelle blu in vetrina a 26.350 euro, un anello di fidanzamento di Tiffany Soleste in platino, con diamante giallo, “scontato” a 7.327 euro contro i 26mila del prezzo retail. Oppure un collier di Norman Silverman con diamanti a taglio smeraldo, baguette e brillante da oltre 211mila dollari. Se pensavi che il mercato del second-hand si fermasse a mercatini e sporadiche iniziative solidali, ti sbagliavi. Secondo McKinsey, nel 2020 il mercato valeva 25-30 miliardi di euro, mentre nei prossimi 10 anni è prevista una crescita annua del 10 per cento. Il trend è confermato da un’analisi di Barclays secondo cui il business del fashion resale passerà dai 36 miliardi di dollari del 2021 ai 77 miliardi di dollari del 2025, crescendo 11 volte in più rispetto alle vendite di prodotti nuovi.
L’habitat di questo business è, principalmente, il web, dove fioriscono puntualmente progetti ibridi, tra online e offline, che coinvolgono start up digitali, negozi fisici, storiche boutique, mega piattaforme di vendite online. Fisicamente, tuttavia, il mercato chiave del second-hand è situato negli Stati Uniti, con importanti prospettive di crescita anche in Cina. Numeri decisamente impattanti che cominciano ad attirare i grandi player. Dopo le collaborazioni (Gucci-The RealReal) e le operazioni finanziarie (Kering ha investito in Vestiaire Collective), alcune piattaforme e-commerce globali hanno lanciato il proprio canale di acquisto e vendita di prodotti usati: Farfetch ha acquisito la piattaforma Luxclusif e lanciato il progetto Second Life dedicato alle borse. Il gruppo H&M ha investito nel second hand con la piattaforma Sellpy, che attualmente è attiva in più di 20 mercati tra cui l’Italia, e dove sono in vendita capi e accessori (non solo a marchio H&M) che costano poche decine di euro. Un anno e mezzo fa anche il colosso tedesco Zalando è sbarcato nel pre-owned: un anno dopo il lancio, a settembre 2021, la categoria Second Hand di Zalando è risultata in crescita di 20 volte, passando da 20.000 articoli a oltre 400.000 scelte sulla piattaforma, ed è disponibile in 13 dei 23 mercati europei.
A promulgare questa crescita è, senza dubbio, l’aspetto sostenibile che esso implica. Secondo un recente report di Vestiaire Collective, acquistare moda second-hand consente di ridurre del 90% l’impatto che ogni singolo articolo ha sul pianeta. Una risposta estremamente efficace all’enorme influenza del fast fashion, dove piattaforme come Shein conquistano miliardi dalla Cina a tutto il mondo. A bilanciare questo triste danno – sia in termini ambientali che etici – è l’effetto Upscale: con la compravendita di beni di lusso, i consumatori sono incoraggiati ad acquistare prodotti di qualità superiore, più longevi ma anche più rivendibili, che mette in pratica il principio cardine della moda sostenibile less but better.
Ogni anno le stime parlano di 120 miliardi di nuovi articoli di abbigliamento o footwear acquistati, ma le proiezioni dicono che la quota di mercato delle piattaforme di resell dovrebbe raddoppiare passando dal 9% al 18% tra il 2022 e il 2030. L’obiettivo finale, raggiungibile entro il 2030, è quello di far risparmiare al pianeta fino 38 miliardi di euro in costo ambientale. Una vera e propria boccata d’aria fresca, motivata da un cambio di paradigma: una rivoluzione dello schema per collocare e leggere gli eventi, imposta da cruciali cambiamenti dello schema precedente. Un nuovo panorama in cui il second-hand viene affiancato da concetti come noleggio, riparazione e remaking: un giro d’affari che raggiungerà i 700 miliardi di dollari entro il 2030, secondo i dati di Ellen MacArthur Foundation, pari al 23% dei ricavi globali dell’industria della moda.
Ma il sistema si è accorto di questa necessità e insieme potenzialità? Una risposta è contenuta nel nuovo studio Circular Fashion Index 2022 di Kearney, che misura l’attuazione della circolarità da parte di 150 marchi in 21 Paesi, divisi in sei categorie, dal lusso al fast fashion passando per il segmento premium e mass market. Su una scala di 10, il punteggio medio dell’industria – che misura l’impegno nella circolarità, appunto – è passato da 1,60 di due anni fa a 2,97: quasi un raddoppio netto, ma ancora un valore molto basso, affossato dal fatto che per esempio ben il 39% delle aziende non usa nessun tipo di materiale riciclato e il 44% non diffonde nessuna forma di comunicazione riguardante la circolarità.
Un impegno sì riconosciuto, ma che deve coinvolgere tutti gli attori della filiera. Nella classifica del Circular Fashion Index al primo posto resta saldamente Patagonia (con 8,5) , seguito da Levi’s e The North Face. Tuttavia, anche se i primi tre sono marchi statunitensi, i Paesi con il maggior numero di aziende virtuose sono la Francia (22) e l’Italia (14), dove OVS sale dal 17esimo al quinto posto e Gucci dal 15esimo al sesto.
Si tratta solo di far diventare profittevoli anche il recupero di materiali inutilizzati o riciclati, tramite i servizi di noleggio o di riparazione, che saranno nuovi canali di entrate per i marchi. Produrre con qualcosa che già esiste è meno dispendioso di farlo partendo dal nuovo. E i consumatori dovranno pensare a rinnovare il guardaroba rimettendo in circolo dei capi, abitudine che si sta diffondendo, come dimostra il crescente successo del second hand.
Dario Minutella, senior manager di Kearney a SustainEconomy.24
Daniele Conforti